mercoledì 21 settembre 2011

Sympathy for the Devil

-Se muori occulto il cadavere, te lo dico subito
Emanuele guardò le spalle strette di quel diavolo che l'aveva portato lì.
Voglio andare al mare, gli aveva detto. Al mare, a novembre. Quando era salito in macchina, il diavolo, aveva solo degli inesistenti shorts, la maglietta dei RollingStone senza maniche e un gilet di jeans. Si era pure vestito da mare, il diavolo.
L'aveva costretto a spingersi fino al punto più alto della scogliera. E ora se ne stava lì, dandogli le spalle, ad un passo da volare giù, dritta in mezzo alle onde, portandosi quella che dall'odore gli sembrava una canna alla bocca.
Il vento le lanciava i capelli in mille direzioni. Il sole, un po' morto, la tingeva di bianco.
-France' vieni qui e la smetti?
le disse sedendosi dove le pietre degli scogli sembravano meno appuntite. Emanuele alzò la testa verso il cielo. Faceva un freddo maledetto e quella se ne stava mezza nuda lì, a fumare e a pensare chissà cosa.
Si guardò le scarpe, sporche di tutta la terra che aveva dovuto calpestare per arrivare fino lì.
Lo sguardo fisso nell'acqua sottostante e la testa persa a calcolare quanti metri ci potessero essere, Francesca non sentiva una parola di tutto quello che Emanuele le stava dicendo, se le stava dicendo qualcosa.
Non aveva voglia di fare niente,se non quello per cui si era fatta portare fin lì.
Basta. Aveva visto tutto, fatto tutto, provato ogni cosa. Era finita in diversi casini, e se ne era anche stata a casa tranquilla come un gatto.
Aveva fatto una lunghissima lista a 10 anni. Ora ne aveva 21 e la lista era stata aggiornata,cambiata e terminata. Terminata nel senso che tutto quello che c'era da fare l'aveva fatto.
Tranne una.
Si girò per un attimo.
Emanuele se ne stava lì a giocare con delle pietre. E si che era bello. Un dio greco. Ma lei se lo sarebbe mangiato in un boccone.
Francesca lo sapeva benissimo. Era innamorata di lui. Ma l'amore di Francesca non era come quello degli umani. Era un amore satanico. Voleva per se quel ragazzo già uomo, con quegli occhi scuri e quei capelli corvini. Lo voleva, ma non voleva essere sua. Lei era solo di se stessa. E basta.
Riportò la testa verso l'acqua. La corrente era talmente forte che si stava quasi bagnando tutta a stare lì. Alzò gli occhi verso l'orizzonte. Vedeva la città dall'altra sponda del golfo.
Il cielo tuonò.
Come un lampo gli occhi di Emanuele si lanciarono su Francesca.
Tutto il suo corpo sussultava. Fremeva. Sentiva il bisogno animale di afferrarla e allontanarla da quella cazzo di scogliera a picco.
Lo sapeva benissimo che se si fosse avvicinato quella per dispetto si sarebbe magari lanciata giù. Un diavolo.
Fissava le gambe filiformi immobili contro il vento. La maglietta le sbatteva sui fianchi. Ma che c'aveva da guardare? L'aveva fatto andare fin lì per guardare il mare?
Avrebbe dato qualsiasi cosa per averla un attimo seduta accanto a lui. Baciarla? Lei l'avrebbe divorato, senza lasciare nemmeno le ossa. Era sicuro di questo. Sicurissimo. Ne aveva visti tanti finire sotto i suoi denti. E anche se il suo cuore Emanuele gliel'aveva regalato da tanto tempo, non aveva intenzione di morire.
Francesca si girò
-Vieni qui!- Solo la testa verso di lui.
Emanuele si alzò e si avvicinò a lei.
-Qui, nel punto in cui sono io- gli indicò lo spuntone di una pietra con l'indice reduce da una guerra con lo smalto.
Emanuele si spinse più avanti.
-Guarda giù-
Gli occhi gli si persero in quel turbinio di colori e rumori. Sentì le vertigini arrivare e passare in un lampo. Ci saranno stati venti metri più o meno.
Francesca lo guardò con gli occhi persi tra i flutti. Cazzo se era bello.
Quando lui tornò a guardarla lei era già li. Gli prese la testa tra le mani e lo baciò sorridendo.
Emanuele stava per portarle le mani sui fianchi quando lei si staccò.
Si staccò saltando giù.
Di Francesca si sentì l'urlo e poi il fragore in mezzo alle onde.
Emanuele gridò sporgendosi in avanti. Gli occhi si persero quella macchia di colore che poteva essere Francesca. Si guardò intorno alla ricerca di qualcuno.
Ma figurati, a novembre in quel cazzo di posto sperduto.
Si mise a correre verso la parte più bassa della scogliera.
C'era un'insenatura da cui l'estate prima si erano tuffati. era bassa,poteva buttarsi da lì.
Saltò giù come un pazzo, da uno spuntone all'altro, cadde e si rialzò. E rialzò anche gli occhi, vedendo nient'altro che Francesca arrampicarsi sulla parte più bassa dello scoglio.
-Tirami su!
gli gridò ricadendo in mare con una risata.
Emanuele rimase immobile,freddo e vuoto come un morto.
Diavolo.

mercoledì 31 agosto 2011

Comunque vadano le cose

E’ un attimo. Un attimo. Durava poco meno di un battito.
Non aveva altro da fare se non aspettare che colasse giù.
Non aveva niente da dire, niente da fare, niente da dare.
Non aveva altro da fare. Era inevitabile.
Non si guardò indietro. Non si era mai guardata indietro.
Era un anno che andava avanti facendosi colare tutto addosso, e tracce non ne rimanevano.
Quindi non c’era niente da guardare ora. Un anno senza usare gli occhi, doveva concluderlo così.
Davanti a lei c’era il futuro, dietro boh, un enorme buco nero.
Giorni ed ore andate via senza alcun problema, senza alcun fastidio, senza nessuna lacrima.
Tutto una grande bocca colorata con rossetto e occhi truccati da gatta.
Non c’era stato nulla di che. Era andato tutto via, in un attimo.
E in un attimo doveva finire. Non c’era da calcolare, ponderare, pensare, ragionare, riflettere o esagerare.  Le cose erano così e basta.
Guardava quello che le stava intorno con le ciglia sospese.
Quegli occhi belli grandi e blu illuminati come il sole scrutavano il grigio che c’era intorno.
Non era strano non provare niente. Non era stano stare lì a sentire la sua testa formulare questi pensieri.
Non era farsi coraggio, non era spronarsi. Era aspettare il momento giusto.
L’attimo giusto. Il battito giusto.
Lo spazio tra quello appena finito e quello giusto, perfetto, che sarebbe venuto.
Era quello spazio adorabile che stava aspettando.
Sentiva le braccia morte intorno ai suoi fianchi, le gambe rigide a sostenerla, il vento in faccia freddo.
Sentiva i brividi sotto il maglioncino leggero. Sentiva la stoffa sbatterle contro i fianchi.
Sentiva i muscoli delle gambe mandarle messaggi del troppo freddo.
Gli slip vi devono bastare.
Pensò solo questo. Fece in tempo a pensarlo.
Spazio perfetto.
Le gambe cedettero sotto comando.
Lo stomaco saltò in aria.
Le mancò l’aria, nonostante tutta quella che le arrivò contro.
Poi non sentì più nulla.
Era il futuro.

martedì 19 luglio 2011

Set fire to the rain

La pioggia cadeva fitta.
Un bambino guardava dalla finestra quello spettacolo strano, con la bocca semiaperta e le mani sul vetro.
Una donna in mezzo alla strada correva scomposta guardando ogni tanto quelle gocce che spigionavano calore.
Giuda. Sporco giuda traditore.
La luce del cielo giallognolo sembro infiammarle i capelli attraverso l’enorme finestra del palazzo.
Si era tolta il cuore e glielo aveva buttato ai piedi.
E lui le aveva rubato tutto. 
Tutto cominciava a riscaldarsi. La pioggia cadeva fitta. L’aria era diventata tutta vapore.
Sporco giuda traditore. Camminava lentamente dietro di lui. Sentiva fischi di gocce di pioggia caderle vicino, sfiorarla, sentiva il calore.
L’asfalto cominciò a ribollire. Le macchine friggevano sotto la pioggia. Le persone cominciarono a correre via spaventati e a nascondersi dentro i negozi.
Anche l’ombrello di quel porco traditore cominciò a scaldarsi, tanto che lui lo gettò a terra con un urlo di dolore.
La luce gialla illuminava i vaporosi capelli rossi che le ondeggiavano intorno al bel viso rotondo.
Lei si fermò.
Giuda. Sporco giuda traditore.
Lui non poté fare altro che fermarsi. Aveva i piedi inchiodati a terra. L’asfalto si stava sciogliendo e le sue scarpe si erano irrimediabilmente incollate al suolo.
Cercò di staccarsi ma non ci riuscì. Iniziò a sfilare dalle scarpe un piede alla volta.
Lei guardò in su.
Le nuvole si raggrumarono velocissime.
Si abbassarono in un lampo.
Riprese a camminare e lo superò.
Sporco giuda bastardo.
Cominciarono a cadere fiamme.
 L’unica persona a non essere al riparo era quello sporco giuda traditore, incollato all’asfalto.
I suoi grandi passi si attutivano lasciando spazio alle urla di terrore per quella pioggia infuocata.
Non si guardò indietro.
Sollevò lo sguardo di nuovo in alto e le fiamme cominciarono a cadere fitte e rapide.
Sentì l’urlo che stava aspettando.
Maiale. Infame e traditore. Giuda.
Chiuse gli occhi rallentando per poco il passo.
La pioggia cessò.


Tutti accorsero a vedere cosa fosse rimasto di quell’uomo bruciato vivo.

lunedì 11 luglio 2011

The Only Exception

Un giorno ho visto mio padre cadere e andare in frantumi il suo cuore. Raccolse i pezzi in fretta, vergognandosi, come un ladro li prendeva e li infilava nella tasca della giacca.
Mia madre non c’era già più.
Appena mio padre rientrò salendo di corsa nella sua stanza io andai fuori, proprio dove il cuore si era frantumato, e raccolsi tutti quei granellini, quasi polvere, che erano rimasti a terra. Li conservai, per quel giorno in cui sarebbe venuto a chiedermi di rincollare tutto.
Eppure aspettai tanto. Io crescevo e lui aveva un buco nero nel petto. Dormiva poco, forse aveva paura di morire senza cuore. Ma non venne mai a chiedermi di aggiustarglielo. Ogni tanto stavo fuori casa per un po’, ma tornavo presto, poteva sempre essere il momento giusto. Ma non avevo speranze. Mio padre non veniva mai con i suoi frammenti di cuore in mano a chiedermi di aiutarlo.

A volte pensai che avrebbe potuto ricrescergli. Ma anche la notte, quando appena appena si addormentava, riuscivo a vedergli quel buco tremendo sotto la camicia.
Io sapevo che era per la mamma, per quella cosa brutta che gli aveva detto mentre andava via. Io l’avevo guardata da lontano. Ho sempre pensato che lei non lo avesse mai avuto il cuore, al contrario di mio padre.
Resistette poco  a quella partenza prolungata. Dopo qualche mese inciampò e il cuore si ruppe tutto.
Anche questo avevo visto da lontano.
I granellini ogni tanto luccicano. E penso che sia perché mio papà si avvicina alla mia stanza. Lo sentono e sperano con me che entri per farsi medicare.

Conobbi l’amore e l’indifferenza insieme. E decisi subito che io volevo l’amore, a costo di stare senza cuore, a costo di dormire poco e di raccogliere i pezzetti in strada, come una ladra. Ma volevo l’amore, proprio come il mio papà. Magari avrei potuto capirlo di più senza cuore. Cercai di spezzarmelo più volte, ma non ci riuscii mai. 
Un giorno ci fu una tempesta e dalla mia finestra il vento si portò via le mie bricioline di cuore. Piansi come non mai, e mentre piangevo sentii uno scricchiolino. Piccolo piccolo. Ne fui così felice che smisi di piangere. In fondo quel cuore si poteva aggiustare anche senza la polvere.
Negli anni lo sentii scricchiolare altre volte. Non faceva male, graffiava soltanto.
Un giorno mi innamorai di un ragazzo. Era bello, con gli occhi brillanti e un sorriso buono. Mi prendeva e mi sollevava. Io ridevo e pensavo che avevo fatto bene a scegliere l’amore, perché questa felicità non avrei potuto provarla altrimenti.
Mi portò dei fiori di campo, pieni di colori e di profumi. Mi scrisse una lettera d’amore e mi baciò.
Avevo smesso di rimanere in casa, a volte mi dimenticavo di quei pezzi nascosti chissà dove.
Ma il mio cuore era così felice che non riuscivo a pensare ad altro. Ero innamorata e stavo dimenticando cosa fosse la solitudine di un cuore scricchiolante e di un cuore rotto.
Mio padre era sempre uguale. Sempre con quel grosso buco che avrei voluto riempire con un po’ del mio. Me ne sentivo così tanto nel petto da star male di felicità a volte.
Mi ricordo che il sole brillava tantissimo. Lo vidi mano nella mano con una ragazza, baciarla e regalarle gli stessi fiori di campo pieni di colori e di profumi. Lo vidi da lontano. Cominciai a correre, ma caddi.
Nella caduta loro si girarono e io mi alzai di scatto, non volevo che mi vedesse. Ma quando mi alzai vidi a terra i frantumi rossi del mio cuore. Raccolsi i pezzi in fretta, vergognandomi, come una ladra li prendevo e li infilavo nelle tasche della gonna.
Tornai a casa correndo in camera mia. Entrai e li guardai. Avevo scelto l’amore, avevo scelto di essere come mio padre. E così era stato. Lo sapevo che non avrei mai amato nessun altro come lui. Che quella felicità, ed ogni altra, nel mio cuore integro e puro non sarebbe mai più tornata. Sapevo che nessun sorriso sarebbe tornato sulla mia bocca, com’era stato per mio padre. Non riuscivo a piangere. Li guardavo nelle mie mani e sentivo un gran vuoto, un immenso nulla.
Mio padre bussò alla mia porta. Entrò e si sedette vicino a me. Tolse dalla tasca della giacca un fazzoletto. C’erano i suoi frantumi. Poi mi scostò la camicetta e infilando la mano nel buco nero ne tolse quasi un’intera metà di cuore.
Infilò una mano nel suo buco nero e ne tolse quasi un’esatta metà di cuore.
Mi sorrise, tenendo in mano il suo pezzo.
Io gli sorrisi, tenendo in mano la mia metà.
Erano la nostra unica eccezione concessa dall’amore.
Per noi due, solo per noi due, erano rimaste quelle metà.
-Aggiustiamoli insieme. – mi disse.

sabato 9 luglio 2011

22.2

Solo che adesso, tre anni dopo, mi guardo allo specchio e mi chiedo come diavolo ci sia finita qui. Ho il vestito strappato e il trucco sbavato. Non ho soldi neanche per bere ancora. Sto appoggiata allo specchio facendomi spazio tra queste altre ragazze un po' ubriache pronte a farsi scopare in qualche angolo. Mi guardo e penso che una volta avevo un futuro certo, magari non appagante, ma sicuro e facile. Facilissimo. E invece ora, da quando i miei mi hanno beccata strafatta,mezza nuda e avvinghiata a uno stupido attore famoso di cui non ricordo nemmeno la faccia, non ho più nulla. Sono andata via da Londra lo stesso anno in cui sono arrivata. Avevo 22 anni, quando mi hanno detto : se vuoi cantare qui devi cambiare la voce. bevici e fumaci sopra poi torna, mi sono resa conto che potevo cambiare tutto,provare tutto, poi tornare e riprendere la mia favola di vita. Solo che mi hanno beccata prima, trovata come una cretina sulle pagine di un giornale da parrucchiere. Tagliato carte,conti e ponti. Mi hanno mollata lì,come se non avessero mai avuto una figlia. E allora ho raccolto quel poco che mi rimaneva e sono tornata in Italia. A casa non ho proprio messo piede. Mi sono messa a ballare su un cubo in una discoteca. Mi pagano,ci vivo. L'anello me lo sono venduto prima che me lo potessero rubare. La vita difficile io non la so fare. Non ho idea di come sia finita qui. Principalmente non me lo ricordo. Adesso mi piace tutto e tutti. Sorrido o mando baci. So fare solo questo. Qui non interessa a nessuno se so cantare. muovo il culo e basta. Ogni tanto penso alla mia bella casa, ai gioielli che brillavano come me.Alle cose che avrei potuto avere ora. Poi mi guardo la mano, ingoio questi coriandoli colorati e torno in mezzo alla musica. Ho 25 anni, mi chiamano tutti Chicca, ero bella ma sono un po' sfatta. Lavoro tutte le notti e di giorno dormo. Ho conosciuto la favola e la crudeltà di chi guarda una bella ragazza ballare. Sogno ogni giorno una casa luminosa e  un meraviglioso odore di pulito. Poi mi sveglio senza ricordarmi cosa ho fatto prima di aprire gli occhi. E senza ricordarmi il mio sogno,anche se ritorna tutte le volte.

martedì 21 giugno 2011

22

Sono sempre stata brava a cantare, una voce chiara, bella forte. E sono sempre stata bella. Ora sono bellissima.  Fin da quando ero piccola i miei mi hanno fatto prendere lezioni. Canto, ballo, suono la chitarra e il pianoforte. Quando passo la gente si gira, i ragazzi mi sorridono, le ragazze mi spiano, e io me ne accorgo. Sono intelligente e ho la risposta giusta in ogni caso. Sono il gioiello dei miei ricchissimi genitori che, ovviamente, mi espongono come il miglior oggetto della casa. Ho i vestiti giusti per l'alta società. Ho il trucco che tiene sempre e i capelli non mi si spettitano mai. Sorrido come un angelo, ginocchio contro ginocchio,mani sul grembo, schiena dritta. Saluto tutti e mi faccio ammirare, brillando di una luce tutta mia. Mi hanno presentato tutti i figli,nipoti,cugini e fratelli che avrebbero dovuto farmi innamorare e portarmi all'altare alla giusta età. Ho avuto fidanzati perfetti: sorriso smagliante e bellezza travolgente. Ricchi, intelligenti, simpatici e impegnati. Nessuno mi ha mai tradita. Io non ho mai tradito nessuno. Ho spezzato tutti i loro cuori in tanti di quei pezzi che non li ritrovereste mai. Ho 22 anni, mi chiamo Ludovica, detta Chicca dai parenti e dai pochi intimi amici dei miei, studio lettere, prendo 30 e lode a tutti gli esami e sono fidanzata con Mattia, laureato in Economia e ricco bel ragazzo figlio di una coppia piemontese trasferitasi da un anno qui da noi. Mi bacia sulla guancia e non mi tiene la mano davanti alle altre persone. I miei genitori impazziscono per questa cosa. Nella memoria di mia madre, ed anche in quella di mio padre, Chicca non ha mai trasgredito una regola, non ho mai trasgredito niente.
Solo che la memoria di mia madre, ed anche di mio padre, si sbaglia.
Mica sono cattiva eh. E' che loro non vedono oltre i miei occhi blu.
Io faccio tutto quando loro non ci sono. Loro non ci sono spesso,ma quando ci sono so perfettamente come farli andare via. Ho le sigarette nascoste dentro la chitarra, l'accendino dentro gli stivali beige chiusi nella scatola. L'erba l'ho messa sotto il terriccio della mia piantina. Muore ogni due mesi,ma la sostituisco con una perfettamente uguale. Le cartine ce le ho dentro le cornici delle foto sul cassettone. I filtri nel portafogli, sfusi.
Ci puoi scrivere piccole frasi, fare piccoli disegni,mamma. I vestiti che mi piacciono li compro e li metto dentro le mie ordinatissime scatole delle scarpe. Li faccio piccoli piccoli, tanto ho una 38, poca stoffa. Ma non li metto mai. Ho un'immagine da mantenere.
Non mi interessa la vita che fanno le altre, se a 22 anni fanno pazzie o casini o si ammazzano in macchina. Infatti quando il giorno del mio compleanno Mattia mi ha chiesto di sposarlo ho detto di si, con tanto di scena madre. Mi ha comprato un meraviglioso anello. E posso dire che tutto quello che è successo dopo è solo colpa di questo meraviglioso anello.
Stavo davanti lo specchio, nuda, con l'anello al dito. E no, quell'anello non mi stava bene. Me ne sono accorta solo ora ma tutto questo bello su di me, come si dice, "stroppia". E io dovevo trovare qualcosa che su di me non sembrasse così troppo. Così mi sono inventata una lettera di un famoso produttore inglese. Aveva sentito la mia voce durante il saggio di fine anno della mia prestigiosissima scuola di canto. Mi voleva per la sua etichetta. Niente pop star. Una delicatissima e elegantissima cantante di deliziose ballate d'amore un po' jazz.
I miei ci hanno creduto, ovviamente, e mi hanno spedita in prima classe verso Londra. Il troppo stroppia.
Ma io giuro, lo giuro, volevo il mio matrimonio da favola e la vita piena di cose frivole da fare. Solo che ...